musica .97

Se ci penso il mio amare i giardini credo derivi dall'educazione estetica avvenuta intorno al terzo anno di universita'. Non era la prima, diciamo la seconda educazione, quella avvenuta sulla rottura della simmetria per aprirla al possibile, che certo simmetrico non e': era la biennale di musica dedicata al compositore Luigi Nono, il primo vero incontro tra cio' che alcuni amici andavano apprendendo e cio' che questi stessi amici scoprivano di aver bisogno.

   La musica che si ascoltava il pomeriggio insegnava ad ascoltare il rientro a casa. La notte umida accanto ai canali veneziani dove tutte le superfici sono lucide-una campana-da dove?!-un'altra-un altro dove, distante e molto vicino, perche' la citta' e' in ogni suo punto quando sei stanco e vuoi solo andare a letto, la casa dall'altra parte della citta' e stai camminando gia' da venti minuti.

   Al tempo di questa educazione non avevo frequentato il corso di Arte dei Giardini perche' il titolo era stupido ed io impaziente. Pur ritenendolo stupido anche ora, rimpiango di non averlo seguito, ma anni piu' tardi mi sono ritrovato seduto in tutt'altra sede al corso dello stesso professor Pizzetti e mi sono riappacificato.

   Ripeteva sempre le stesse cose, era piu' vecchio, due, tre cose che finalmente ero pronto ad ascoltare, fatte di quel fiume dai piu' affluenti per il quale solo gli anni di cose fatte, le piu' disparate, potevano permettermi di riconoscere un senso: la liquidita' delle persone anziane che non insegnano per cio' che dicono, bensi' per come lo dicono. Credo che la ripetizione degli stessi due, tre concetti agisse come le variazioni nella composizione musicale: un senso si affidava alle pieghe che tornavano a nascondere l'incanto per un istante emerso alla voce, allo sguardo, al tempo del vecchio professore e l'incanto del professore muoveva all'incanto lo studente.

   Il giardino cominciava allora fatto di quel possibile ed il possibile diventava la materia con cui fare, come le piante e come la loro ombra, trasfigurate. E' difficile il primo anno capire questo, lo si impara con il tempo.

   Fatto sta che la musica c'entra moltissimo in tutto questo ed i suoi rumori che entrano se li si lascia entrare. Questo fare entrare accoglie la campana di cui parlo all'inizio ed il marmo lucido che riflette la luna, in Inverno, lunga accanto all'acqua. Di questa materia si imparava a conoscere ogni cosa, l'amicizia compresa ed i giardini pure.

frammento Fr.81b .94

Con Saffo accanto lei intreccia crochi e viole e rose e aneto in frammenti di scrittura, fr, fr, frr gli zefiretti amorosi si levano accanto.

   Il paesaggio nella Grecia classica era di frutti in estate, caldi sugli alberi. Lo sapevano e lo sapevano che sarebbe durato per sempre, tant'e' vero che ora abbiamo i frutti caldi sugli alberi l'estate.

   Ci parlano di guerre e di riposi i poeti: il paesaggio e' affidato al riposo o meglio il riposo si affida al paesaggio facendolo cominciare, come ricompensa e scoperta, davanti a colui che ne anela la calma. Saffo non si riposa affatto, e' sempre in guerra, come le donne di Shakespeare che imprecano: "Ahi, perche' non sono un uomo?!" cosi' da far vedere quali guerre davvero sarebbero da combattere. Ed i re sciocchi combattono fino a distruggere giardini, salvo poi collezionare le piante mai viste e nuove e portarle a casa, dove un giardino le attende ed essere, cosi', signori di una terra vasta, non misurabile ed immediatamente presente all'occhio, al gusto, all'olfatto ed al tatto.

   La stessa terra vasta, non misurabile di Saffo, costantemente presente all'occhio, al gusto, all'olfatto ed al tatto senza conquista alcuna.

   Cio' che e' immediatamente presente, nella propria invisibilita', ci porta nella sfera del simbolico. La conquista cosi' si simboleggia nell'immediatezza del poter abbracciare tutta la terra, per quanto vasta possa essere, conquistata. Puo' essere un becero senso di potere o una malinconia della vanita' di tutta questa fatica, ma il giardino e' li', sempre un po' piu' ampio, un po' piu' ricco ogni volta. La vite sul pergolato del triclinio era rara e difficile da mantenere a Babilonia e la testa del re vinto era appesa ad un ramo qualche metro piu' in la', qualche secolo prima.

   L'incanto e' l'unica misura per cio' che non puo' essere misurato perche' troppo vasto. L'immaginazione del re scorre su tutte le terre, nella successione delle cose viste, nello svilupparsi del ricordo, una dopo l'altra, ma e' nel giardino che l'incanto percepisce tutte le terre nella loro compresenza e le fa durare in un presente che si stacca dal tempo, quasi che le cose in esso non avessero l'ombra accanto. Il tempo non comincia in giardino, viene lasciato sulla soglia, insieme al deserto.

   Questo e' il giardino per chi ha bisogno della battaglia. E per chi non ne ha bisogno?! Per lui ci sono i fichi che danno frutti, per lui c'e' l'ombra da coltivare, il tempo che scorre e che radica dove Ulisse rivede il padre. Non c'e' alcun distanza, c'e' un orto e ci sono due persone. Anche Saffo e' in un giardino e ci sono due persone.

   Il giardino puo' accogliere la fuga dal tempo, per alcuni, come pure far cominciare il tempo, per altri: giardino in cui il presente porta la propria ombra con se' e non ha bisogno di astrarsi, non sa lasciare il Tempo. E' questo il giardino che preferisco, non essendo io un re. Il giardino che fa cominciare qualcosa, che rigenera senza escludere, senza mettere il deserto fuori, perche' non c'e' alcun deserto la' fuori. E' questa la potenza della Grecia classica. Il desiderio legifera ed il mondo da scoprire non e' piu' esteso dello spazio che esiste tra il fico e l'ulivo, non piu' sconosciuto dei nomi delle piante che il padre ha insegnato al figlio Ulisse, nomi che sono li' da apprendere, che passano dalla voce alla voce, dal frammento al frammento.

   Saffo, spiegami com'e' il croco o l'aneto li' da voi, perche' ci sono i crochi anche nei prati di Londra dove le ragazze si siedono con un sandwich in mano e fanno ghirlande di margherite, non di crochi... sai qualcosa e' cambiato, si preferisce lasciare i fiori selvatici dove sono, cosi', li' blu e bianchi, blu, blu, bianchi.

brevi invenzioni .93

Per la prima volta oggi ho seminato i semi di fiori selvatici della pianura friulana, gli stessi che troviamo anche qui, non fosse che sono ormai divenuti davvero rari e dipendono in buona parte dalla ricerca e propagazione di SemeNostrum. Spero che i raggi di sole siano sufficienti e le erbe piu' forti non troppo piu' forti perche' quei semi possano diventare prati, brevi invenzioni, tra gli alberi.

disegno .92

A meta' pagina c'e' il disegno dello spazio tra il rettangolo e i pioppi. La forma si e' sciolta alle piante che una volta disegnate sul foglio hanno riportato lo sguardo a terra: tre ciliegi in fiore, in primavera, una siepe mista e selvatica, di alberelli potati informalmente ad un'altezza di un metro e mezzo, alcuni dei quali lasciati crescere come fossero singoli tra quelli potati dando movimento e vita alla siepe. Un altro ciliegio ed un altro a seguire la siepe, uno dall'altra parte della siepe, seguendo la curva da uno spigolo del rettangolo ad un punto 24 metri piu' in la' dove, davanti al primo grande pioppo, la siepe si ferma.

   Ho impiegato quattro pagine ed un disegno e' venuto fuori con sempre un po' di stupore nel pensare a quanto si rimanga legati ad un'idea e poi, dimenticandosela, venga fuori una forma che non ha ombra, se non quella che le disegno su un lato cosi' sembra uscire dal foglio. Lo stupore e' nel trovare strano che la forma non sia venuta in mente da subito.

   C'e' pero' una continuita' nel passare da un disegno ad un altro, una costante che sempre accompagna quella scoperta, e' la rarefazione della geometria, come se l'occhio si affidasse progressivamente, lasciando gli ormeggi, alla sensazione che prova trovandosi davanti all'albero che vorrebbe li' in quel punto... un ciliegio dai fiori rosa, in primavera, che forma con altri due un luogo da andare a vedere, in primavera, dal quale una siepe comincia con i suoi colori verdi e marron, in autunno, di foglie di quercia e di olmi, senza una linea netta e tuttavia disegnata in curva, a raccogliere uno spazio, farlo cominciare ed aprirlo ai tre filari che oggi mi ricordavano ancora di piu' i parchi di Londra.

   Il disegno porta con se' una dimensione umana che sembrava superata, che mette radici e non vorrebbe ed al tempo stesso si sente far parte del tempo... sensazioni del passato che non lasciano e che nel disegno, nel disegnare, vengono a galla, insieme si' alla gioia della forma trovata, ma cosi' umanamente radicate da dire: "Uffa, non mi lasciate, eh?!" ed e' Cocteau a scrivere che le muse non abbandonano chi, una volta almeno, le ha frequentate.

   Pensavo pero' che si potesse stare alla larga da cio' che radica e ci fa espandere nel mondo, ma non e' cosi', il nostro cuore e' fatto della stessa materia e nelle stesse percentuali relative di cui sono fatte le stelle, mi ha detto un amico astrofisico, un giorno in piscina e Picasso si stupiva di come ogni volta, facendo il bagno, non si sciogliesse nell'acqua come uno zuccherino. Mi arrendo.

i fiori selvatici e James Stirling .91

Tre filari, sono i pioppi alti 15 metri, arrivano ad un vuoto e poi comincia il rettangolo denso di bosco. Mi sono seduto a guardare per un po' appoggiato alla canonica della chiesa mentre il sole scendeva sulle ragnatele tra i fili d'erba. Ho davanti uno spazio di 26x18m che potrebbe aprire il rettangolo alle linee dei pioppi o restare un vuoto. Sento il bisogno di tenere insieme i diversi spazi in cui mi trovo ad operare. La qualita' delle singole parti necessita unita'. Una forma non e' da escludere per far cominciare li' un luogo. La forma...

   Ho provato ad immaginare solo un prato di fiori selvatici e poi una siepe mista informale. Lentamente una forma di cerchio e' venuta a galla. Ho ripreso con il campo fiorito e questo ha trovato limite entro il perimetro circolare della siepe. La forma...

   Ho sempre scartato il cerchio per diffidenza o forse perche' troppo Forma, neppure tanto per pudore rispetto ad una sacralita' tramandata da tale figura. No, il cerchio l'ho sempre lasciato alla sospensione delle sue forme storiche o, al massimo, all'uso che ne fa quel genio di James Stirling nello spazio trasfigurato alla Neue Staatsgalerie di Stoccarda. Che bravo architetto.

   Pero' e' venuta a galla lo stesso questa forma. Un circolo che misura quel vuoto creando un giardino fatto di quel vuoto, contornato di alberelli in crescita a custodire un prato di fiori spontanei. Se ci penso mi imbarazza, mi vedo studente del primo anno sedotto dal primo libro sulla Land Art. Tant'e'.

   Tratti aperti, accostarsi di siepi in tangenza, perdita di una qualsivoglia forma nota... per resistere alla tentazione del cerchio voglio lavorarci sopra.

   Eppure il senso progettuale l'avrebbe: un circolo, in tangenza al quale si cammina, si accosta al lato minore del rettangolo dal quale si puo' accedere alla boscaglia e sul lato opposto, lungo l'asse visuale prospettico dei tre filari di pioppi, un altro accesso, l'apertura nella siepe dalla quale il circolo diventa uno scrigno entro cui dalla primavera all'estate fiorisce un prato di fiori selvatici.

   Va bene e allora?! Ogni significato o riflessione si perde e resta il prato fiorito entro un anello. La forma si stanca di se'. Per questo il museo stesso di Stirling diventava una rovina come le rovine che attraversano la storia, cui attingere formalmente crea forme morte nel nascere, forme d'archeologia, al loro stesso primo vagito.

   E' difficile lavorare senza dimenticare. "Il progettista deve dimenticare..." ci diceva Tafuri ai seminari di storia dell'architettura. E' cosi'. Allora non sono solo se mentre descrivo l'idea di progetto ne perdo il gusto!

   Fatto sta che occorre pensare a cosa fare. E' piu' semplice di quanto si pensi, comunque. I fiori sono belli comunque e questa banalita' del giudizio in verita' e' la linea guida di alcuni dei piu' bei progetti paesaggistici. E' rispettando questa banalita' che ci si libera dal pregiudizio formale e si comincia a misurare il passo, le distanze tra i pioppi, i fili luminosi che i ragni tessono nell'ora in cui ci starebbe bene una tazza di te, seduto a guardare.  

ospiti spontanei .90

Il rettangolo ed i fiori di campo detti anche fiori selvatici, fiori spontanei nonche', alle volte, erbacce. Penso proprio di seminarli nelle isole di prato aperto tra gli arbusti. Sono i semi di SemeNostrum custoditi dalla botanica Silvia Assolari per chi come me non resiste alla controversa tentazione di unire bosco e prato fiorito. Almeno nei margini esterni o dove un raggio di sole passa...


   E poi non dovrebbero chiamarle erbacce: chi di voi non si e' mai trovato nel posto giusto al momento sbagliato? Perche' loro si trovano nel posto che le condizioni idonee lo consentono, ovvero il posto giusto per loro, soltanto che poi noi passiamo di la' in quel momento e vogliamo altre piante al loro posto. Ma perche'?!


   Questo perche' riguarda la nostra persuasione circa gli affari della vita. E' la persuasione di cui altri paesi sono maestri, con la loro esperienza di vita piuttosto che di idee astratte circa la vita, la morte, l'amore, l'amicizia, il lavoro e la contentezza in tutte queste cose. Questi dunque sono i loro nomi:

Anthoxanthum odoratum
Anthyllis vulneraria
Briza media
Bromopsis erecta
Buphthalmum salicifolium
Campanula rapunculoides
Campanula trachelium
Centaurea jacea
Cichorium intybus
Daucus carota
Echium vulgare
Festuca rubra
Galium verum
Holcus lanatus
Hypericum perforatum
Hypochaeris radicata
Leucanthemum vulgare
Linaria vulgaris
Salvia pratensis
Sanguisorba minor
Saponaria officinalis
Scabiosa triandra
Securigera varia
Trifolium rubens
Verbascum thapsus

che sono le specie perenni, cioe' quelle che rinascono ogni anno finche' morte non ci separi e rinascono ancora con gioiosa sorpresa nostra e loro, suppongo. Le specie annuali, invece, i cui nomi sono:

Anthemis arvensis
Centaurea cyanus
Papaver apulum
Papaver rhoeas

sono quelle che alla fine di un anno di vita, dopo aver disperso i loro semi muoiono. E non rinascono. Pero' i semi viaggiano e rinascono a volte con una caparbieta' invidiabile li' vicino o piu' lontano, dove le condizioni lo permettono. E' di questo muoversi che si scrive tanto nella letteratura di chi ama veramente quella vita di cui sopra, nelle cui pagine i nomi fanno sognare e le piante diventano vagabonde ed il giardino in movimento. Oh, che meraviglia se tutti gli abitanti delle citta' potessero attingere alla poesia di questi giardinieri-scienziati-poeti-agronomi-designers-plantsmen-nurserymen... Oggi parlando con giovani tree climbers, ci siamo detti che se la cultura contemporanea del giardino e dei parchi puo' diffondersi laddove ora e' un vuoto dipende soltanto da noi... Ci siamo guardati ed eravamo contenti, quel piangioenti in cui Calvino traduce un'espressione francese dei "Fiori Blu" di Queneau: un po' tristi, un po' gioiosi!

Ci sono anche:

Consolida regalis
Legousia speculum-veneris
Matricaria recutita
Myosotis arvensis
Sherardia arvensis
Viola arvensis

Nel miscuglio di sementi, ho chiesto una percentuale di perenni piu' alta di quella delle annuali, pensando sia cosa sensata data la competizione delle erbe esistenti. La signora Silvia mi ha detto che lei tratta distintamente le perenni dalle annuali ed io non sapevo cosa rispondere, ma molto gentilmente la signora Silvia mi ha detto che comunque se preferivo mi aggiornava il miscuglio di sementi con una percentuale di perenni piu' alta di quella delle annuali. Adoro la gentilezza degli scienziati. Ai sui occhi io devo risultare come una vecchia zietta che vuole i fiori di campo sul davanzale. Chissa'!

educatamente .89

Eccomi qui a scegliere le piante. Un fazzoletto tra gli aceri ed i noccioli e' stato coltivato ed ora puo' diventare qualcosa, che non saprei ancora cosa.

   Tanta fatica per zappare, rovesciare la terra e rastrellare porta alla gioia suprema della scelta delle piante da mettere a dimora. E' quando si sospende il tocco e caparbiamente non mi metto neppure per sogno a progettare. E' troppo raccolto questo nascente giardino (che come ormai si sa e' stato chiamato rettangolo) perche' io mi metta a disegnare dove mettere le piante e quali piante. Per queste piccole dimensioni delle aree libere, puntiformi come gli spazi che gli arbusti e gli alberi mi lasciano liberi, ho decisamente voglia solo di immaginare che qui ci starebbero erbe alte, certo c'e' un po' troppa ombra, pero' questa, questa pure e quest'altra ancora possono reggere la semi-ombra. "Questa" e' l'Anemanthele lessoniana, arancio-rosa d'autunno su base verde-giallo, cosa per la quale sospirare a lungo, "questa pure" e' la Calamagrostis x acutiflora 'Karl Foerster', alta, chiara e di seta ed infine "quest'altra" e' la Descampsia caespitosa 'Goldtau'... ... aria e luce che attraversa.

   Un rettangolo di alberi, arbusti e erbe alte. Perche' no. Dico "perche' no" in quanto un possibile giardino boschivo come sarebbe la vocazione di cio' che mi trovo tra le mani, almeno per il tipo di piante che vi dimorano, non ha nulla a che vedere con le graminacee, le erbe come le ho chiamate, mutuandone il nome dall'inglese grasses che mi piace di piu' di "graminacee", forse perche' la mia citta' paga un debito alle fatiche della vita contadina in cui la gratuita' ed inutilita' del fare un giardino a fatica riesce a riscattare il proprio diritto di esistenza.

   E se non ci stanno filologicamente (con mente filologica) e neppure ecologicamente (con mente ecologica) ci stanno pero' d'incanto: sono intervalli, le erbe sono gli intervalli, i segni d'interpunzione, sono i trattini, le virgole, i punti e virgola della paratassi che il giardino che piu' mi piace e'. Ma allora tradisco tutto cio' su cui baso il mio fare giardini, il loro essere ecological-planting-design?!

   Se anche cosi' fosse (e non lo e') preferisco seguire la mente che si incanta, lascia lo studio ed il luogo e vola, ma in verita' non tradisco alcunche'. L'ecologia e' custodita nel rispetto delle condizioni di semi-ombra in cui le mie erbe sono a loro agio e la filologia, invece, e' quella che segue la necessaria contrapposizione di due paesaggi, l'uno reale, del margine boschivo e l'altro di sogno, della trasparenza color miele che il verde-marrone di tronchi ed arbusti sembra a volte necessitare, cosi', per pausa e levita'.

   E' la filologia del rispetto delle cose viste, che si moltiplicano e giustappongono diventando grammatica personalissima, ma in verita' neppure cosi' personale, forse meglio dire corale seppur anche personalissima. Una filologia condivisibile presso i tanti paesaggi che ognuno di noi ha nella propria mente educata alla diversita', filologia tale da comporsi, articolarsi, emergere e riassorbirsi, per poi ogni tanto dare origine all'immagine sorprendente di un paesaggio d'affezione, anche solo sognato, che accoglie tutti i paesaggi e da nessuno di essi si lascia racchiudere.

   E' dunque una filologia, questa, della mente educata, in cui erbe e bosco stanno insieme, educatamente.

il sole per Paolo Ravenna .88



Dedico al mio amico Paolo questa giornata di sole del rettangolo. Andro' a tagliare alcuni rami per adornare il cammino che sta, per la prima volta, percorrendo, nuovo al passo ed andro' a raccogliere alcune foglie per farne un tappeto, lieve come era e forte. Passo innamorato sempre come sapevamo in tutta Europa, qui e la', da dove non c'erano piu' i cari a dove altri ed altri ed un nuovo amico di sorpresa, messaggio, scultura e prato, ora, aperto e prato.

di che cosa si tratta .87

Ho letto un nuovo libro, un libro per bambini che racconta di un giardino. I caratteri grandi per i bambini che cosi' non si stancano e neppure si spaventano. Ed eccoli entrare nel giardino.

   Saranno i grandi a pensare in termini di segretezza, mistero ed avventura i giardini oppure e' realmente quella la dimensione del giardino nella quale grandi e piccoli si incontrano?

   Ora che sto passando alcune ore delle mie giornate al rettangolo verde mi domando da dove vanga questa attrazione per "cio' che nasconde la vista nella trasparenza delle sue foglie". Perche' e' di questo che si tratta, quasi fosse il nome di uno stato d'animo.

   Forse esiste un capitolo di un libro di psicologia che recita: "Di cio' che nasconde la vista nella trasparenza delle sue foglie. Capitolo Quarto". Non mi stupirei. Deve essere un bisogno di vivere quel selvaggio che ci scorre nelle vene e che si libera in noi nell'incontro con l'ombra, l'incognito, cui noi offriamo il nostro cuore come fosse un balsamo d'amore per il ricongiungimento con la persona amata che non si conosce ancora e che proprio per questo riassume in se' ogni bene.

   Il giardino e' il luogo d'artificio, sospeso nel tempo e nello spazio, in cui, per tutto cio' che non puo' essere nel Mondo, viene garantita la possibilita' di esistenza. Cio' che non e' possibile nel Mondo oppure cio' che viene escluso dal Mondo oppure cio' che e' finito per il Mondo.

   E' allora il luogo in cui il vissuto torna in vita oltre la semplice memoria, perche' i profumi, le luci e le ombre sono piu' eloquenti e tutto cio' che e' stato e' di nuovo li' o meglio noi siamo di nuovo identici a cio' che siamo stati.

   E' l'unita' della nostra vita, l'unita' del nostro intero essere, l'insieme della nostra infinita insondabile, ricchissima complessita', a trovare nel giardino la propria possibilta'. Certamente affidata al caso, all'incontro, ma in un luogo preciso, fermo.

   Il giardino e' la chance che la vita ci offre di tornare nel pieno possesso delle nostre facolta' fisiche, mentali e spirituali insieme. E' il luogo della nostra unita'. Il Mondo poi deve dividere, separare, decidere come esistere. Il giardino ci permette di essere ancor prima di esistere.

   Questo unisce i grandi ed i piccoli: i piu' piccoli, l'andare alla scoperta di vie che non conoscono ancora ed i piu' grandi il ritrovarsi sulla via dello stupore. La scoperta e lo stupore sono gli strumenti che l'uomo ha per rendere commensurabile il vuoto che lo circonda, l'ignoto e farseli amici.

   Il giardino e' dove le nostre paure si sciolgono e questo perche' il giardino e' una foresta addomesticata, perche' l'ombra del giardino e' piu' piccola dell'ombra della foresta, ha la nostra misura, e' commensurabile alla nostra mano che si avvicina al ramo o al fiore.

   Mi domando se non sia questo ad associare il possibile al giardino e dunque la segretezza, il mistero e l'avventura come i molteplici volti del possibile. 

   Se e' cosi', allora, il giardino e' un talismano. Un talismano aperto sotto il cielo. L'uomo non ha piu' un oggetto da tenere in mano, ma un luogo. Dalla piazza alberata, al parco, dal giardino del retro di casa al giardino selvatico cresciuto negli interstizi della metropolitana la vita riprende il proprio corso rinnovata, ripulita, di nuovo con una misura, la nostra misura, la misura di tutta una vita che emerge, da chissa' dove nella nostra biografia, come unita' del nostro sentire nell'attimo presente.

   Il giardino e' il luogo fisico in cui si rende possibile l'assenza di spazio e tempo che piu' intimamente e' identica all'unita' spirituale che anima l'uomo, che ha la durata di una vita ed e' identica all'attimo del respiro. Chiamatelo incanto, se volete.

   E' una verifica. Quando si esce dal giardino occorre fare conti logici con cio' che abbiamo ritrovato di noi stessi che non ricordavamo piu'. Si puo' anche ritornare nel giardino, fare esercizio, farne anche l'abitudine ed anche provarne piacere. Si puo' solo migliorare.

arancione-rosa .86

Cosi' appare il rettangolo:
Euonymus europaeus 'Red Cascade' / evonimo;
Corylus avellana / nocciolo.





Das Andere / L'altro .85

A chi ha l'espressione in volto che dice che un garden designer e' poco piu' di un giardiniere occorrerebbe che si rispondesse che quel garden designer sarebbe felice di essere poco meno di un giardiniere. Certo si puo' anche rispondere che da quel "poco piu'" e "poco meno" dipende il generarsi di un mercato di milioni di euro nei paesi dei giardinieri, dal quale dipende parte della buona salute di ospedali, asili, scuole e di qualche diritto in piu' qui e la'. Rimanere indietro e' come non esserci piu'.

   Adolf Loos scriveva i due numeri della rivista "Das Andere" nella Vienna di inizio secolo scorso, "Per l'introduzione della civilta' occidentale nell'Austria", un paese che altro sembra non avesse al di fuori di rampolli da mandare in guerra, rampolli le cui famiglie altolocate preferivano perdere piuttosto che riabbracciare senza onore.

   Se non lo si era capito prima e' l'introduzione della civilta' Europea nel giardino italiano che preme in questi scritti.

   Loos era una delle menti piu' precise e delicate che l'epoca contemporanea potesse generare ed io lo amo molto, soprattutto perche' dice che un contadino mentre lavora nei campi e' vestito da lavoro e, quando va a teatro e' vestito da teatro. E' tutto qui il rispetto europeo di cui occorre imparare la grammatica e la sintassi. Per non fare confusione, semplicemente per non confondere un vaso da fiori con uno da notte, come dice qualche riga piu' sotto. La delicatezza di Loos e' nella totale compassione della sua voce, mai altezzosa laddove qualunque altra sarebbe inciampata. E' questo che lo rende cristallinamente contemporaneo.

il giardiniere che si rispetti .84

Oggi e' stata la volta dei paletti segnavia che ormai non segnavano piu' alcuna via. 100 paletti di legno tolti cosi' che il giardino puo' cominciare. E' nel suo momento "t con 0" dal quale Calvino faceva partire la storia del mondo. Felice quindi di fare partire la storia di un giardino boschivo, felice anche di avere incontrato di nuovo la signora di ieri che, questa volta, mi ha detto di trovarmi un aiuto: "... devi portarti la tua ragazza"... forse non sa che le ragazze per bene entrano nei giardini, ma non nei giardini boschivi, cosi' anziche' spiegarle le ho detto che un giardiniere che si rispetti lavora da solo. Era contenta lo stesso e ci siamo salutati. Le signore di sessant'anni sono sempre simpatiche. Anche i due signori che stanno aiutando il parroco a fare il presepe sono venuti li' da me e mi hanno detto che devo fare un bel lavoro altrimenti "... ti diamo 0"... forse e' lo stesso 0 del tempo t? Ma poi quando ho chiesto se la chiesa offrisse te' e biscotti, mi hanno risposto di no e che: "Pero' puoi mangiare i cappellacci di zucca+secondo+dolce, domenica prossima".

   Cosi' ho detto loro che un giardiniere che si rispetti mangia i cappellacci di zucca, la domenica.

   I frutti dell'Euonymus europaeus 'Red Cascade' erano arancioni-rosa, forse il colore che piu' mi piace al sole che tramonta. Quello stesso colore dell'Eupatorium purpureum subsp. maculatum 'Atropurpureum', il fiore di Piet Oudolf, che Dio lo benedica, visto che siamo vicino alla chiesa. Sono di quell'arancione-rosa che non fa in tempo a sbiadire ingiallendo nel salmone e gli rimane un fuocherello dentro cui solo i maglioni dei giardinieri in Inghilterra fanno onore. Ne ho uno, anzi due. Vorrei metterci due toppe color carta da zucchero e sdraiarmi al sole, ma temo che i cani che passano non siano ancora pronti per questo viaggio oltre-Manica e, poi, se incontro la signora di oggi e di ieri devo spiegarle il perche' di tante cose che riguardano un giardiniere e come faccio, ho troppo lavoro da fare!

per giorgio per filippo .83

Prima di tutto prendersi cura delle rose. Rosa canina per la precisione, di quelle che troviamo dove non siamo mai passati finora, inarcarsi in alto, le bacche rosse tra gli steli d'erba di questo caldo autunno: tendo un ramo piu' lungo e flessibile sul ramo piu' basso dell'acero, ne prendo un altro e lo intreccio con quello di un'altra pianta di rosa li' accanto. Ed un'altra ancora. E' il tunnel di rose che cominciava nel '400 o forse prima e giunge fino ad oggi pomeriggio, il passarci sotto e sentire tutti gli uccelli di questa pianura cantare anche se non ci sono le rose anche se non c'e' la primavera anche se...

   Spiegare questo ad una signora ferma a guardarmi tagliare. Il giardino boschivo; la Biodiversita', senza usare quel nome; gli alberi morti lasciati al loro posto, ancora vivi per insetti ed uccelli; l'erba alta, alla quale educare. Nella sua contentezza ho sentito il fascino della liberta' di operare come desidero con uno spazio che e' di tutti. Il berretto rosso del parroco sorrideva attento.

   A parole precedevano cio' che vivranno. Le parole che ci tengono in arco e qualcosa passa sotto.

Primo giorno .82

Sole e maniche corte, guanti e troncarami. Che bello metter mano ad un boschetto abbandonato. Comprendere di pianta in pianta e di taglio in taglio che cosa fare, come procedere nei prossimi giorni. Il fine ultimo: mantenere tutto come non ci fossi permettendo di garantire che questo tutto sia qualcosa e non l'inevitabile suo scomparire qualora io non ci fossi. E' questo il significato di cio' che racconto nello scritto "garden me".

   Se l'erba non viene tagliata i giovani tronchi, oltre a subire l'alta competitivita' dell'erba, marciscono alla base. Tre ontani ad esempio non hanno retto e stanno in piedi, neri contro il cielo piu' azzurro che si possa avere sulla nostra citta' a Novembre. Tagliero' l'erba intorno al tronco e vi lascero' il piu' possibile la terra scoperta.

   Dell'erba era subito chiaro che cosa fare, ma di quei tre, quattro alberi che stanno contro l'azzurro? Avevo gia' preso la silky saw dalla borsa quando mi sono ricordato degli alberi, non importa quanto grandi, che stanno, cosi', fermi, senza vita e vivi di vita altrui in tutti i parchi londinesi che si sono aperti alle sperimentazioni ecologiste di questi ultimi decenni. Sono le banche dei boschi, le riserve aurifere cui gli uccelli si rivolgono per trovare gli insetti, cui gli insetti si rivolgono per trovare i detritivori, ovvero tutti quegli organismi che si nutrono di materia priva di vita in stato di marcescenza quale appunto le fibre del legno di un albero. Ecco fatto, la sega e' rientrata nella sacca: lo sospettavo, non la usero' mai perche' e' molto piu' interessante potenziare l'esistente lasciando che esso dia di se' il meglio in ogni suo stato.

   "Fare senza togliere", come: "sviluppo senza crescita", sono quelle condizioni che appassionano perche' mettono in dialogo cio' che e' chiaramente visibile con cio' che rimane nascosto, animale o fenomeno sociale che sia, pur vero, presente e fondamentale alla sopravvivenza. Dunque la struttura del boschetto somiglia al microcredito?! Moltiplicare la capacita' di un individuo al miglioramento delle proprie condizioni di vita sulla base della propria capacita' di esistere, di essere "vivo", tout court. Che bello!

   Il boschetto e' poi stato ripulito di tutti quegli orpelli ereditati che erano fatti di plastica e soprattutto plastica rossa. L'unico rosso che un bosco supporta e' quello della rosa canina. Anche un ombrellino, ma qui non si puo' fare nulla, la grazia e' del bosco e di chi lo ama.

   Anche i cartelli, via! Con la mia piu' grande gioia. Le didascalie di un progetto illeggibile perche' troppo schematico per colui che voglia fare semplicemente una passeggiata, non hanno lasciato alcun vuoto. Le didascalie degne di un bosco sono scritte sui rami e sulle foglie e vengono a galla sulla superficie di quei rami e foglie che, ad ogni passo, siano gia' entrati a fare parte di noi, gia' custoditi in quell'unica regione della nostra mente che necessita realmente di apprendere qualcosa in questa vita. Ci si deve perdere nei 2 metri quadrati di quel rettangolo di alberi ed arbusti, ci si deve dimenticare di se' e di tutto quello che siamo abituati a vedere ed a guardare, perche' una volta usciti da quei 2 metri quadrati si cominci ad aver bisogno di rivedere cio' che e' stato, per un momento, simile al nostro piu' autentico volto.

   E' il potere del selvatico, torno a ripeterlo, fosse un bosco, una prateria o un mazzo di fiori... mettiamoci d'accordo pero' su un punto prima di tutto, ormai e' necessario: l'eleganza piu' alta e' la toppa nelle giacche, il piccolo rammendo nel maglione, un disegno non incorniciato, gli stivali infangati davanti alla porta, altrimenti dove finiscono gli infiniti possibili dell'attrazione.

un uccellino di Hokusai nel rettangolo .81

Si tratta di vedere "La grande zolla" di Durer la' dove si sarebbe detto, un istante prima di vedere quel disegno: "... Che abbandonato e' il tuo giardino...". Si tratta cioe' di cosa gli occhi hanno visto, di dove l'immaginazione e' cresciuta. Si tratta di un'educazione sentimentale, dunque.

   In una giacca bucata e sdrucita vedere una giacca decostruita. E negli occhi di uno stilista puo' significare molto, non fosse che per gli imperi economici che alcuni stilisti hanno creato. Ma un poeta pensa ad altro e negli occhi di un poeta invece, come lo era Jean Cocteau, un pulcino in filo di ferro e stoffa, strappato qui e la' dalle mani di Picasso, diventava un uccellino di Hokusai. L'aveva posto sulla mensola del camino nel suo appartamento e l'ospite che lo vedeva poteva rivelare una profonda sensibilita' oppure no.

   Sto parlando del rettangolo verde del Barco, uno spazio che e' stato abbandonato per 6 anni e che con me diverra' uno spazio abbandonato, ma gia' un po' piu' simile al disegno di Durer, dove si poseranno uccellini in fil di ferro e stoffa... frrr... frr... frrrr...!

caro Truffaut .80

Rivedo "Il ragazzo selvaggio" di Truffaut. Come vorrei non finisse mai questo film. Ma mi accorgo che la fine e' dovuta al fatto che la vita nella casa aveva raggiunto il punto in cui era divenuta la vita privata di una nuova famiglia e l'educazione un rapporto di affetto parentale. Il film puo' allora finire lasciando il Tempo accogliere i personaggi in un loro privato che continua oltre l'invenzione. Ci si affeziona e si lascia ai personaggi la vita che si sono conquistati.

   Il ragazzino era uno zingaro che ora, cresciuto, e' un musicista e il bosco del film e' il luogo diverso che gli zingari portano con se'. Forse e' stato cosi' che Truffaut scelse il bambino per la parte di Victor.

   Vedo la siepe selvatica della campagna Francese. Un bosco tagliato per una terra addomesticata, cui si e' insegnato a parlare, a comunicare, dove i tratti, le lettere, le siepi e gli steccati sono limiti, pur necessari perche' gli uomini comunichino e convivano gli uni con gli altri nell'onore del Bene. Fuori da tutto questo comincia il Bosco.

   Abbiamo tutti imparato a parlare non semplicemente per denotare, ma per passare una cosa dalle mie mani alle tue e sentirci piu' vicini, uscendo dal bosco dove c'e' freddo e ci sono gli animali feroci.

   Eppure quel luogo parla da lontano quasi che il nostro linguaggio ne fosse un'eco nella quale le nostre lettere andassero ad impigliarsi, dall'eco intercettate, dall'eco veicolate e grazie a quell'eco potessero andare lontano. Il nostro linguaggio ed i nostri segni noti hanno un'eredita' di bosco, hanno l'odore di cio' che ha il buio dentro e non fa piu' paura. Ombra portata di chiare lettere. Il peso che da' portanza all'ala della voce. Questo e' il bosco.

   Ecco perche' non riesco a lasciare l'immagine che due alberi insieme formino un bosco. Questa rapidita' di connessione dell'incanto diventera' patrimonio comune, come lo e' a Londra, dove uno spazio di risulta della maglia urbana diventa uno dei tanti frammenti di un intero, ampio e unitario GiardinoOgnuno di quegli spazi e' una lettera, insieme formano una parola, poi una frase ed un'altra ancora. Frasi per gli uccelli. Frasi per le volpi. Frasi per gli uomini.

genius loci di un rettangolo sfumato .78

Questa mattina il piccolo bosco si e' svegliato nella nebbia ed ora sara' fluorescente nei primi raggi del sole. Ieri sono andato e c'era il sole.

   C'era il sole... (un coltivatore a motore potrei affittarlo)... i frutti di rosa canina erano aspri... (c'e' un mix di fiori selvatici della Oaks Farm che potrei seminare)... gli ontani devono essere tagliati e due o tre ciliegi potrebbero sostituirli... ("Hedgerow mix", cosi' si chiama il loro preparato di fiori selvatici da zona ombreggiata)... l'erba, si', e' da tagliare, ma solo per disegnare il passaggio e liberare il terreno alla base degli alberi -forse anche di alcuni arbusti- cosi' che possano avere nutrimento...

   E' inevitabile. Penso allo spazio vuoto intorno. Ogni pensiero dedicato al boschetto ne porta necessariamente un altro che preme e dice: "Ci sono anch'io!". Viene dal doppio filare di pioppi, dal grande campo vicino alle case, dal sentiero li' accanto e proprio non riesce a farne a meno, vuole entrare anche lui nello scenario di quello che potrebbe diventare questo luogo. E gia' non mi viene piu' da chiamarlo solo rettangolo o boschetto come l'ho chiamato finora.

   Gli occhi sono fatti per guardare e non stanno fermi e, davanti ad un vasto spazio erboso che fiancheggia il lato regolare di un giardino, il giardino vorrebbe espandersi, diventare tutto il paesaggio. Questo e' il borrowed landscape, il paesaggio preso in prestito cui il giardiniere paesaggista esperto affidava il giardino, come ad una madre, perche' lo vivificasse con la sua ampia visione, con il suo senso della prospettiva di una vita, dell'unita' delle cose. La campagna allora entrava nel giardino o era il giardino che da una siepe allentata o un diaframma di erbe lasciate piu' alte al confine che separava le proprieta', si apriva alla campagna.

   E' qualcosa di meraviglioso, forse la cosa piu' meravigliosa che mi sia accaduto di provare in un giardino, un giardino speciale, il giardino di Beth Chatto: il passaggio dalla zolla d'erba alta del bordo dello stagno alla staccionata di confine in legno di castagno ed al bordo, gia' oltre, del bosco e gia' oltre la campagna che si apriva alla campagna. Il giardino non era piu', ero solo io in un luogo.

   Lo spirito del luogo, il "Genius luci" di cui parla il poeta Pope sono sicuro sia questo. Quando ci si perde in qualcosa che accade e non ha nome. Un momento di densita' d'unione con il creato che si traduce immediatamente dopo nell'immagine culturale che cercheremo di ricondurre ad un dipinto o una lettura, quando la mente torna alle distinte forme, alle virgole, alla coordinazione e la descrizione ricomincia. Ma intanto quel luogo ha, anche per un solo istante, detto qualcosa e ha dettato le sue ragioni, il suo diritto forse e perche' no il suo giocare con noi nell'unico modo ad esso possibile, nell'unico modo a noi possibile. Se un giardino non e' questo, allora non c'e' giardino.

   L'entrata del paesaggio nella mente degli Inglesi si ispirava ai pittori, ma non solo. Era un bisogno su vasta scala di liberta'. Certo il paesaggio entrava ancora solo nei luoghi e nella vita di pochissimi. Ma era entrato. Era questione solo di tempo, come sempre accade.

   Un fiore selvatico e' questo, fosse anche non selvatico, in grado di sfumare un rettangolo un po', ai lati. 

per chi non lo sapesse .77

Tom Jones di Tony Richardson e' un film che fa capire tante cose dei giardini. Per chi non lo sapesse gli alberi, ma ancor piu' gli arbusti, sono le forme vegetali piu' immediatamente utili a nascondersi nelle radure, quando nascondersi diventa necessario o inevitabile, vale a dire, per fornire qualche esempio, quando durante la caccia alla volpe ci si nasconde con la volpe in braccio, per proteggerla dagli stolti, sotto la propria giacca preventivamente cosparsa di catrame, poi per ovvie ragioni galanti e terzo, ma non ultimo caso, per cercare i frutti di Rubus fruticosus. E comunque in questo caso non c'e' bisogno di nascondersi perche' raccogliere le more non e' vietato. Queste cose il film non le dice, ma le insegna.

   Mancano film come questo perche' l'amore si e' fatto pesante nei racconti e la liberta' che lo sottende mi pare non sia poi cosi' consueto vederla coniugata con il pudore. Insieme pero' queste sono le due componenti che fanno del giardino il luogo della felicita' per eccellenza: la liberta' ed il pudore. L'amore, poi, viene da se' in questo scenario. Non c'e' bisogno di altro ed un cespuglio, senza doversi nascondere in esso, rivela il suo nome anche nella distanza, ma il giardino non e' una radura e quindi tutto e' piu' semplice. Cio' che e' vasto infatti e' spesso dispersivo e la fatica che si fa nel rincorrere una volpe Tom Jones la lascia, appunto, agli stolti. Distaccato da tutto perche' non disperde energie, e' di passaggio e gli amici sono ovunque, dipende da lui essere aperto per averne e fa di tutto per esserlo. Certo non puo' fare altro perche' tale e' la sua natura ed e' nato sotto una buona stella.

   La stella di uno scrittore, Henry Fielding, che veniva da una famiglia di magistrati, magistrato lui pure. Di quegli uomini di legge che fanno lo sgambetto a chi sta inseguendo un ladro di pane perche' questi possa scappare e che sono felici di stringere amicizia, tempo permettendo, con un regista di nome Tony Richardson che, seppur nato due secoli dopo, di giardini se ne intendeva.

   Ora che ho ricevuto dal comune della mia citta', in "adozione verde", un rettangolo abbandonato di alberi ed arbusti, non mi resta che andare a scuola da questi due personaggi e cercare di fare del mio meglio per trasformare cio' che e' gia' bellissimo in qualcosa di altrettanto bello.

   Una cosa affascinante e' successa una delle volte in cui sono andato a vedere il boschetto che posso dire qui dove si parla di Tom Jones. C'e' una chiesa accanto, di quelle che giustappongono, anziche' declinare, le forme piu' belle nate dal felice incontro tra un programma liturgico secolare ed i grandi architetti contemporanei. Sono entrato. Non c'era nessuno. Formelle didascaliche alle pareti, un tetto improbabile ed un ambiente, un unica grande camera... che mi ha fatto fermare. Una chiesa buona. Pensavo al rettangolo verde li' accanto, alla chiesa ed al quartiere. L'architetto aveva vinto. Io non vedevo piu' la chiesa perche' era una chiesa che scompariva e diventava la sua pace. L'avevo provato altre volte, ma mi vergogno, ora, a dire i nomi degli architetti meravigliosi di quelle chiese meravigliose.

   Il fatto e' che siamo in un quartiere popolare, schiacciati da 6 parallelepipedi di cemento marrone totalmente fuori scala e li' comincia un luogo sacro e li' comincia il mio lavoro. Mah... affido dunque a Tom Jones il mio spirito, a quanto di piu' sacro possa esserci in territorio laico, unico in grado di dialogare con il sacro che gli dimora accanto.

Libereso salta sugli alberi e via, chi lo prende piu' .76

Lui e' Libereso Guglielmi. A parte essere stato l'apprendista botanico del papa' di Italo Calvino, ha lavorato a Londra proprio a 200 metri dal mio College, nel giardino splendido di E. A. Bowles a Myddelton House. Ecco perche' mi e' simpatico. Ricordo una passeggiata ed il fascino della serra... e pensare che Libereso visse proprio al primo piano con l'affaccio sulla serra... Non potevo non andarlo a conoscere e cosi' mi ha regalato dei disegni colorati di piante e non.

   E' un uomo molto forte e molto dolce, come tutti gli uomini forti. Sua moglie e' una donna molto bella che "... non avresti riconosciuto, con il giubbotto di pelle, sulla sua lambretta, quando mi venne a prendere al lavoro la prima volta."

   La pineta scendeva dalla villa Calvino ed i bambini salivano sul primo albero e via, di ramo in ramo, di albero in albero, correvano nell'aria fino al mare. Ecco perche' erano rampanti.

   La stagione in cui l'Italia avrebbe potuto diventare produttrice di alberi da frutta esotici si interruppe con la fine delle ricerche di Calvino padre e cosi' nel giardino della villa che era stato il centro di acclimatamento per piante esotiche di San Remo resta l'edificio della villa.

   La speculazione edilizia mi colpi' per quella riga che Italo Calvino scrive a proposito della madre che guarda il giardino nel quale tutto stava cambiando, ormai molto anziana, giunta a quell'eta' in cui un'offesa ad una pianta ha lo stesso impatto di un'offesa alla vita nella sua interezza.

   E gia', il giardino andava difeso, ma quel "... belin di Italo ha venduto tutto". Come forzare uno scrittore a tenere insieme le fila di un discorso che lo aveva visto estraneo fin dalla tenera eta' e poi, diciamocelo, la scelta di scrivere anziche' continuare la tradizione di famiglia ha portato frutti che tutti noi abbiamo avuto e continueremo ad avere la gioia di assaporare.

   Dalla sua terrazza Libereso guarda il giardino di casa come da Villa Adriana l'imperatore guardava il teatro dei luoghi attraversati dai quali le forme orientali erano state fatte entrare nella rude architettura romana con la forza di un profumo che ti scioglie le membra e ti ritrovi gia' nella tiepida acqua di una morbida vasca di marmo. L'Erythrina crista-galli ha il fiore che porta in Brasile, in Uruguay, Paraguay ed anche in Argentina, di ramo in ramo, senza scendere dall'albero.

come seta .75

Tre nuovi strumenti fondamentali per il giardiniere sono entrati nella borsa degli attrezzi: una silky saw o "sega di seta", un troncarami per rami fino a 4cm di diametro ed un paio di forbici. Sono le mitiche forbici da giardino Felco No.2, con il manico rosso e la struttura in alluminio. Le ho cercate per mesi finchè non ho scoperto che nella mia citta' c'è un importatore, tre giorni fa. Sono oggetti che mi incutono un certo rispetto, ora, visto che il timore verso di essi l'ho gia' provato un paio di anni fa, perchè con l'uno e l'altro, tranne per fortuna che con il troncarami, mi sono tagliato. Da allora avevo cercato le Felco ed in particolare le famose No.2 perche', essendo le forbici da potatura dei giardinieri della luminosa tradizione inglese, non possono nuocere a chi le tiene in mano, sono dei talismani.

   Non so veramente da che parte cominciare in giardino... lo chiamo con il suo nome generico. Userò il troncarami come un rabdomante, tenendolo ben aperto così da farmi guidare in una qualche direzione e poi, trovato un arbusto un po' troppo cresciuto, comincerò da lì, magari dai Cornus sanguinea 'Winter Beauty', così belli quando tagliati alla base, non piu' di 10cm da terra, nel tardo inverno/prima primavera quando hanno tutto il tempo di crescere in fusti sottili, verticali e snelli, e senza foglie il successivo inverno prendono il colore arancione-rosa per il quale Anglesey Abbey è il famoso winter garden.

   E' davvero una scoperta un giardino d'inverno. Quasi più bello che in primavera e sicuramente più affascinante che d'estate. E' chiaro, bella scoperta, che d'estate un giardino e' come mangiare un gelato, ma una volta diventati grandi il gelato non e' tutto. Si tratta di accostamenti singoli di poche strutture e pochi colori nel freddo e nel blu della sera che scende, quando ancora e' pomeriggio ed il tè è caldo.

   Una parte del giardino potrebbe diventare tale. Devo solo vedere se ci sono abbastanza cornioli già accostati così che l'effetto di fiamma nel verde-blù dell'erba risulti importante. Potrei comunque trapiantarli, è vero, per avvicinarli dalle loro disparate posizioni, ma mi sembrerebbe di forzare un po' troppo la natura del giardino... non che questo luogo ne abbia una, visto che è piuttosto il risultato impacciato di un progetto superficiale, ma queste piante hanno già una loro posizione e se comincio a spostarle allora dove se ne va l'interesse? Dove il limite in cui trovare un senso? Come il giardino giapponese comincia da un ostacolo, un sasso, una goccia d'acqua, il mio giardino potrebbe cominciare da questa sua forma impacciata, tanto non c'è nessun committente... è un giardino pubblico fatto da un privato senza committenza, quanto di più aereo. Mi piace.

   I giardinieri giapponesi hanno splendide forbici da giardino, battute a mano e brunite con le quali fanno splendidi origami, piegano, tagliano, ripiegano e poi stendono davanti agli occhi la sorpresa verde. Non riesco a vedermi tale. Sono europeo e non riesco ad avere né la pazienza né l'intimo pudore di muovermi tra le piante come tra spiriti sacri. Le piante mi circondano e mi trovo in un luogo di luci, ombre e colori, forme piu' per un teatro che per un tempio ed anche se la Natura e' un Tempio, i Pilastri Viventi sono per me nulla più che semplici compagni di viaggio. Gli spiriti non se ne avranno a male e saranno contenti del mio accarezzarli con strumenti di seta senza accorgermene. Scendete sulla terra a scoprirla e poi ne parliamo insieme!

   A questo servono i giardini, semmai dovessero servire a qualcosa, a far cominciare il dialogo tra i nostri limiti e le nostre aspirazioni, tra l'invisibile e ciò che ci sta davanti, così che ogni lato sia illuminato dalla stessa luce.

eureux/felice .74


Joachim Du Bellay (1522-1560)
Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage

Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage,
Ou comme cestuy-là qui conquit la toison,
Et puis est retourné, plein d'usage et raison,
Vivre entre ses parents le reste de son âge!


Quand reverrai-je, hélas, de mon petit villane
Fumer la cheminée, et en quelle saison

Reverrai-je le clos de ma pauvre maison,
Qui m'est une province, et beaucoup davantage?

Plus me plaît le séjour qu'ont bâti mes aïeux,
Que des palais Romains le front audacieux,
Plus que le marbre dur me plaît l'ardoise fine:

Plus mon Loir gaulois, que le Tibre latin,
Plus mon petit Liré, que le mont Palatin,
Et plus que l'air marin la doulceur angevine.


Georges Brassens (1921-1981)
Heureux qui comme Ulysse

Heureux qui comme Ulysse
A fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
A vu cent paysages
Et puis a retrouvé après
Maintes traversées
Le pays des vertes allées

Par un petit matin d'été
Quand le soleil vous chante au cœur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Quand on est mieux ici qu'ailleurs
Quand un ami fait le bonheur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Avec le soleil et le vent
Avec la pluie et le beau temps
On vivait bien contents
Mon cheval, ma Provence et moi
Mon cheval, ma Provence et moi

Heureux qui comme Ulysse
A fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
A vu cent paysages
Et puis a retrouvé après
Maintes traversées
Le pays des vertes allées

Par un joli matin d'été
Quand le soleil vous chante au cœur
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Quand c'en est fini des malheurs
Quand un ami sèche vos pleurs
Qu'elle est belle la liberté
La liberté

Battus de soleil et de vent
Perdus au milieu des étangs
On vivra bien contents
Mon cheval, ma Camargue et moi
Mon cheval, ma Camargue et moi

...
Gia'... e cosi' scopro come la canzone di Brassens nasca da un testo del '500. E Ulisse che ritorna a casa. Che buona sorte. Che fortuna. Che bella liberta'. Un po' assopiti dal tepore di casa, un po' senza piu' battaglia, un po' meno avventura, a chi appartiene quel passato e quante cose sono avvenute che quasi e' una vita di un altro? Mah... La persuasione viene a galla nel cuore ed e' una grande fortuna poter rientrare al porto di casa.

"garden me" / A writing about a wished frontier for the natural gardening

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Ecological Planting Design

Ecological Planting Design

Drifts / Fillers (Matrix) / Natural Dispersion / Intermingling with accents/ Successional Planting / Self seeding
What do these words mean? Some principles of ecological planting design. (from the book: "A New Naturalism" by C. Heatherington, J. Sargeant, Packard Publishing, Chichester)
Selection of the right plants for the specific site.
Real structural plants marked down into the Planting Plan. The other plants put randomly into the matrix: No. of plants per msq of the grid, randomly intermingling (even tall plants). Succession through the year.
Complete perennial weed control.
High planting density. Close planting allows the plants to quickly form a covering to shade out weeds.
Use perennials and grasses creating planting specifications that can be placed almost randomly.
Matrix: layers (successional planting for seasonal interest) of vegetation that make up un intermingling (random-scattering) planting scheme: below the surface, the mat forming plants happy in semi-shade, and the layer of sun-loving perennials.
Plants are placed completely randomly: planting individual plants, groups of two, or grouping plants to give the impression of their having dispersed naturally. Even more with the use of individual emergent plants (singletons) that do not self-seed, dispersed through the planting.
An intricate matrix of small plants underscores simple combinations of larger perennials placed randomly in twos or threes giving the illusion of having seeded from a larger group.
The dispersion effect is maintained and enhanced by the natural rhythm of the grasses that give consistency to the design. They flow round the garden while the taller perennials form visual anchors.
Allow self-seeding (dynamism) using a competitive static plant to prevent self-seeders from taking over: Aruncus to control self-seeding Angelica.
Sustainable plant communities based on selection (plants chosen for their suitability to the soil conditions and matched for their competitiveness) and proportions (balance ephemeral plants with static forms and combinations such as clumpforming perennials that do not need dividing: 20% ephemeral, self-seeding plants, 80% static plants) of the different species, dependent on their flowering season (a smaller numbers of early-flowering perennials, from woodland edges, which will emerge to give a carpet of green in the spring and will be happy in semi-shade later in the year, followed by a larger proportion of the taller-growing perennials which keep their form and seed-heads into the autumn and the winter).
Year-round interest and a naturalistic intermingling of plant forms.
Ecological compatibility in terms of plants suitability to the site and plants competitive ability to mach each other.
Working with seed mixes and randomly planted mixtures.
Perennials laid out in clumps and Stipa tenuissima dotted in the gaps. Over the time the grass forms drifts around the more static perennials and shrublike planting while the verbascum and kniphofia disperse naturally throughout the steppe.
Accents: Select strong, long lasting vertical forms with a good winter seed-heads. Select plants that will not self-seed, unless a natural dispersion model is required.
Planes: if designing a monoculture or with a limited palette, more competitive plants may be selected to prevent seeding of other plants into the group.
Drifts: to create drifts of naturalistic planting that are static in their shape over time use not-naturalizing, not self-seeding, not running plants.
Create naturalistic blocks for the seeding plants to drift around. For the static forms select plants that do not allow the ephemerals to seed into them.
Blocks: use not-naturalizing species, in high densities, in large groups.
Select compatible plants of similar competitiveness to allow for high-density planting (to enable planting at high density in small gardens).
Achieve rhythm by repeating colours and forms over a large-scale planting.